07 Mar 2016

BY: Paola Danieli

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La violenza sulle donne, sebbene esista da sempre, è un fenomeno che è venuto alla luce solo a partire dagli anni ’60, grazie ai movimenti delle donne. Prima di quell’epoca la violenza, quando emergeva, veniva ritenuta un fatto privato, frutto di disagio sociale o di problematicità di coppia. Le stesse donne che ne erano vittime finivano con l’essere considerate diverse dalle altre donne, cosiddette “normali”.

Il movimento femminista, pertanto, ha il merito di aver fatto emergere il problema, ma soprattutto di aver contribuito a farlo riconoscere come una modalità di interrelazione molto diffusa tra uomini e donne. Queste relazioni, infatti, sono largamente condizionate dalla società di tipo patriarcale nella quale sono immerse e la società civile ne è ed è stata fortemente condizionata: pensiamo al delitto d’onore, in vigore in Italia fino al 1981, che prevedeva sconti di pena a chi uccidesse il proprio coniuge a causa di infedeltà (di questa legge hanno usufruito prevalentemente i mariti).

Più in generale, solo con il nuovo diritto di famiglia del 1975 non persiste più l’autorità del marito sulla moglie e sui figli e sono stati dichiarati illeciti i mezzi di correzione e di disciplina che erano ammessi prima dell’entrata in vigore del nuovo codice.

Questa nuova ottica ha avuto il merito di contribuire a realizzare il passaggio del punto di vista sulla violenza alla donne: da problema personale a problema sociale, mettendone in discussione anche l’approccio clinico, che fino a quel momento reputava la questione della violenza sulle donne in termini “neutri”, senza considerare, cioè, gli aspetti sociali e storici che lo descrivono.

Da allora l’espressione “violenza contro le donne” è stata usata per descrivere una serie di comportamenti di tipo violento che gli uomini agiscono nei confronti delle donne, che vanno dallo stupro, alle molestie, ai maltrattamenti, alla violenza fisica a quella psicologica e che, di recente ha fatto emergere anche maltrattamenti legati alla mutilazione dei genitali femminili, alla prostituzione coatta e ai matrimoni forzati.

La complessità della violenza fin qui descritta, aumenta ancora di più se si pensa al contesto al quale essa viene principalmente riferita: le mura domestiche, quel luogo cioè, che siamo abituati a pensare legato a fiducia, affetto e protezione. La violenza sulle donne è agita per la maggior parte dei casi all’interno di una relazione intima, tra marito e moglie, conviventi, fratelli, genitori, figli, parenti. Talvolta può indicare una situazione pre o post-matrimoniale, nel caso di fidanzati o coppie separate.

Il termine violenza di genere, anziché porre l’accento sul tipo di violenza agita, lo pone sui soggetti chiamati in causa: il genere maschile e quello femminile.

Il fenomeno incide trasversalmente su tutte le classi e, contrariamente agli stereotipi che spesso lo accompagnano, non è collegato a particolari patologie, dipendenze o disagi sociali.

Tutto questo rinforza la tesi della possibilità di interpretazione attraverso parametri sociali e antropologici: la violenza di genere è legata alla dominanza del genere maschile su quello femminile, che caratterizza tutte le società umane. Esistono, quindi dei comportamenti socialmente ammessi che rappresentano modelli interpretativi del fenomeno: dal ruolo della donna, a quello del marito o padre, come tutti noi siamo comunemente abituati ad intenderli, fino ad espressioni eclatanti, legate alla donna percepita come “proprietà” dell’uomo.

Recentemente, inoltre, con l’aumento del potere sociale, le donne vengono rappresentate, soprattutto dai mass media, come un “gruppo sociale” che rappresenta “l’altro da sé” e quindi nemico o antagonista. Da questa percezione ne deriva un’altra legata all’autoreferenzialità maschile che interpreta le azioni delle donne secondo codici propri degli uomini, che non prevedono quindi un reale riconoscimento e scambio reciproco.

Tutto ciò viene ulteriormente aggravato dal fatto che, se la violenza esercitata sulle donne attinge a codici culturali profondamente radicati, chi la subisce difficilmente ne ha percezione, percependosi essa stessa come oggetto esclusivo dell’uomo.

La violenza di genere, infine, è riconosciuta a livello internazionale e l’ONU la descrive in questi termini:

La violenza fatta alle donne designa tutti gli atti di violenza fondati sull’appartenenza al sesso femminile, che causano o sono suscettibili di causare alle donne danno o delle sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche e che comprendono la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata.

(Dichiarazione dell’ONU sulla eliminazione della violenza contro le donne – novembre 1993)

Tutte/i insieme, sempre, contro la violenza alle donne.

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