
BY: Paola Danieli
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Da alcuni giorni viviamo una nuova esperienza, che fino a questo momento avevamo avvicinato solo attraverso i film di fantascienza: l’epidemia di Coronavirus, partita da Wuhan in Cina nel dicembre scorso e diventata emergenza globale.
Ci siamo abituati in poche settimane a immagini inusuali ed angoscianti, come quelle delle strade deserte, dei medici vestiti da palombari e delle relazioni sociali gestite con le mascherine.
Da venerdì, poi, il film è arrivato prepotentemente anche in Italia, Lombardia e Veneto, purtroppo non virtualmente nelle sale cinematografiche, ma nella realtà dei nostri ospedali, delle nostre case, delle nostre osterie.
Le pandemie e la paura nella storia
La psicosi contro le pandemie è antica come la storia dell’umanità, ma non si trattava di una pandemia 2.0, come la nostra, in cui internet e la televisione fanno da cassa di risonanza di tutto quello che accade.
La descrizione degli eventi e delle sofferenze era affidata a chi utilizzava la propria forma di narrazione, come la scrittura o la pittura: Boccaccioci ha raccontato la peste del 1300, Alessandro Manzoniquella di Milano del 1600, Giovanni Vergaquella del colera nel 1800, in cui perse la vita anche Giacomo Leopardi, Edvard Munchci ha dipinto la febbre spagnola all’inizio del ‘900, la più grande pandemia di cui si abbia traccia.
La peste nera che, tra il 1347 e il 1352, infuriò in Europa decimando un terzo della popolazione, portò con sé, come ci racconta il Boccaccio, violente emozioni capaci di sfociare in autoflagellazioni per espiare le colpe agli occhi di Dio e nella persecuzione degli ebrei, accusati di avvelenare l’acqua dei pozzi.
Anche nel caso della peste raccontata da Manzoni nel racconto storico “La colonna infame”, la paura collettiva si convertì nella ricerca dei colpevoli e si sospettò che nemici senza scrupoli del Ducato di Milano avessero diffuso il contagio per indebolirlo. Furono individuati due colpevoli: Guglielmo Piazza, Commissario di Sanità e e Giangiacomo Mora, barbiere, denunciato dal Piazza dopo giorni di torture che gli fecero confessare pene inesistenti. I due capri espiatori furono impiccati sulla pubblica piazza.
Giovanni Verga nel 1887 nella novella “Quelli del colera” mette al centro dell’attenzione la popolazione “vittima” di presunti malati di colera; questi ultimi sono i cosiddetti “untori” propagatori della malattia.
La più grande pandemia capitata all’umanità fu la febbre spagnola, tra il 1918 e il 1920, che decimò tra cinquanta e cento milioni di persone in tutto il mondo. Fu definita anche “la strage invisibile” perché occultata prima dalla censura militare e poi dalla generale amnesia. Fu anche l’epifenomeno della nascente globalizzazione: l’enorme spostamento di uomini e merci, unito al carnaio delle trincee, agevolò la diffusione del virus. L’urlo di Edvard Munch, non è che un autoritratto dell’artista febbricitante perché colpito dalla febbre spagnola.
Il filo conduttore di queste psicosi, che per millenni hanno tracciato la nostra storia ha solo un nome: LA PAURA, quella che toglie la razionalità e spinge con campagne di odio verso il presunto colpevole, per orientare la frustrazione. La rabbia l’aggressività trovano un nemico certo e visibile: il cinese, il complotto della Cina, lo straniero, l’altro in generale.
Tutto questo ha la funzione di spostare l’attenzione dal tanto temuto Coronavirus che ha una caratteristica fondamentale che terrorizza:
E’ INVISIBILE!
A cosa serve la paura e quali conseguenze può avere?
La paura è un’emozione di base fondamentale (basic instinct), che ci permette di reagire davanti a un pericolo e di decidere quale reazione sia più utile per proteggerci, ci impone di fuggire, combattere o “congelarci” in attesa che la situazione si risolva. Sperimentarla è essenziale, se si vuole sopravvivere: un animale capace di sentire il pericolo vivrà abbastanza da trasmettere il suo patrimonio genetico alla prole.
Nelle situazioni di paura l’amigdala scatena una serie di reazioni neurali e di risposte chimiche che ci predispongono alla sopravvivenza. Il respiro si velocizza, il metabolismo si riempie di zuccheri per darci forza, l’intestino e la vescica si svuotano per renderci più leggeri nella fuga, i peli si drizzano per renderci più temibili al nemico e aumentano i livelli di cortisolo nel sangue. Se lo stress non si risolve in fretta la condizione traumatica può risolversi in una condizione più strutturata, quella del trauma.
Perché il Coronavirus fa paura?
Farsi coinvolgere dalla paura del Coronavirus può essere travolgente e degenerare in una sorta di contagio sociale e di regressione deresponsabilizzante alla ricerca del colpevole e del capro espiatorio, che ci allontanerebbe dalla possibilità di utilizzare i nostri strumenti razionali per creare una condizione di prevenzione e sicurezza.
Il motivo per cui la febbre spagnola ha fatto decine di milioni di morti è stata la mancanza di informazione. I giornali e i governi non diedero notizie del virus e della sua propagazione. Di certo a noi questo non è accaduto, il rischio semmai è quello delle fake news o della indigestione di dati e notizie.
Cosa ci serve per affrontare la paura del Coronavirus?
Ci serve, innanzitutto, il buon senso di accogliere la nostra paura o preoccupazione: ci troviamo di fronte ad un’esperienza nuova, è del tutto normale sentirsi al di fuori della tanto citata “zona di confort”.
Come abbiamo visto, poi, la paura è adattiva, ci serve per sopravvivere, ma se la risposta è sproporzionata si rischia di perdere la capacità di valutazione dei rischi e di assumere comportamenti non funzionali alla prevenzione o alla cura.
Come affrontare la paura da Coronavirus?
Usando nella nostra quotidianità alcune parole chiave:
FIDUCIA, RIFLESSIONE, BUONE RELAZIONI, BUONA INFORMAZIONE, CONRONTO, DIALOGO, ASCOLTO.
Sarà necessario nelle prossime settimana ascoltare i consigli pratici e ufficiali dei sanitari , ma anche accettare l’insicurezza, confortati dai nostri affetti più cari e dai nostri amici più stretti.
Il confronto e il ragionamento rappresentano i migliori antidoti per comprendere i rischi reali e la possibilità di difendersi, senza rinunciare ad una giusta dose di timore, che ci consente di stare con gli occhi aperti.