16 Mag 2014

BY: Paola Danieli

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Sono diverse le fonti che confermano che lo sport dia la felicità, da quelle letterarie e romanzate di Gianrico Carofiglio ne “Il Silenzio dell’onda”, in cui al protagonista viene prescritto dal suo psichiatra di camminare per la città per favorire il suo benessere, a quelle più scientifiche come il capitolo del libro “Guarire”, dello psichiatra americano David Servan Schreiber, in cui vengono descritte gravi forme ansioso depressive guarite con il moto praticato in maniera sistematica.

Personalmente credo che ciascuno, nell’approcciare una attività sportiva, sia molto condizionato dalle precedenti esperienze. Certo non aiuta mantenere un vissuto di perdente nelle competizioni, di incapace ad affrontare le sfide o debole nel sostenere la fatica. Purtroppo, molto spesso, questi sono i rimandi che conserviamo delle nostre prestazioni e che provengono da ambienti sportivi competitivi e mortificanti, che hanno come obiettivo quello di fidelizzare i “capaci” ed allontanare gli “incapaci”. Riprendere in mano queste credenze su di sé e sulla prestanza del proprio corpo ad un certo punto della propria vita, magari ad un punto avanzato, è estremamente utile e trasformativo di alcune cognizioni negative di sè. A volte affrontare la sfida con il proprio corpo ed arrivare a vincerla, fino a provare piacere nell’usarlo, è una vera e propria esperienza di guarigione.

L’attività fisica praticata regolarmente, ma con ritmi propri e magari progressivi, può riallacciare la relazione dimenticata con il corpo. Nella nostra epoca la relazione con sé stessi si compie quasi esclusivamente intorno alla funzione razionale e di pensiero, scordando che il nostro corpo attraverso i suoi sensi è quello strumento che ci consente di esplorare il mondo e conoscere la realtà. Facendo sport è possibile sporcarsi, stancarsi, sudare, sperimentare la fatica, la soddisfazione, la capacità di raggiungere un obiettivo e di superarlo, di fare i conti con il tempo meteorologico e di immergersi in una realtà non virtuale che può essere nebbiosa, solare, umida, fredda, bollente, gelida; l’attività fisica se praticata all’esterno consente di rientrare in contatto con l’ambiente.

Rimettere in moto i sensi (vista, olfatto, gusto, tatto, udito) significa ascoltare il caldo e il freddo, osservare l’alba spuntare, sentire le cicale frinire, il sudore colare sulla fronte e il sapore della fatica in bocca.

Il movimento può essere scoperto anche in tarda età, per lenire qualche dolore, una perdita, un momento di crisi.

Ma perché praticare attività fisica fa stare meglio?

Ogni volta che il corpo si mette in moto si produce serotonina, un neurotrasmettitore noto come l’ormone della felicità, che è lo stesso che viene sollecitato dai comuni antidepressivi.

La serotonina influisce sul sonno, sull’umore, sull’appetito, sulla voglia di fare e di relazionarsi, sulla sensazione di appagamento e una sua carenza provoca stati di insonnia, affaticamento, di ansia, di depressione e di malessere fisico.

Mantenersi in forma attraverso l’attività fisica innesca un circuito positivo legato alla riscoperta della cura di sé e del piacersi.

Ma cosa significa fare attività fisica? Significa parcheggiare la macchina un po’ più distante, fare le scale e non prendere l’ascensore, fare delle gite in bici il fine settimana e qualche passeggiata a passo sostenuto nei momenti liberi.

Niente di impossibile quindi….l’importante è muoversi. Muoversi è prendersi cura di sè!

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