27 Gen 2017

BY: Paola Danieli

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Lo scorso anno ho finalmente realizzato un’ idea che avevo da tempo: creare una rete tra le mie pazienti accomunate dall’esperienza della violenza subita, sia fisica, che psicologica, economica e sessuale. Mi piaceva l’idea di scardinare simbolicamente i concetti di solitudine e isolamento, che sempre si presentano in queste vicende.

Ho proposto di partecipare sia a donne che avevano un percorso terapeutico in atto, che ad altre che l’avevano già concluso. Il gruppo è rimasto attivo per 7 mesi, con cadenza quindicinale, in orario serale, completamente gratuito. Si sono incontrate persone molto diverse tra loro, tra i 30 e i 60 anni, con e senza figli, con storie di maltrattamento vicine o lontane nel tempo.

Antonella scrive:

Se ripenso a come è cambiata la mia vita negli ultimi due anni, ci sono volte in cui stento ancora a crederci. Questo cambiamento per me è stata una rinascita, una riscoperta di me a 360°.

E’ stato in questo periodo che mi è stato proposto di far parte di un Gruppo…….mi stavo abituando ad affrontare esperienze nuove, che stavo sperimentando su me stessa e non ho esitato ad accettare.

Nel debutto del Gruppo credo fossimo accomunate da curiosità, perplessità, diffidenza. Con il tempo, i muri sono crollati, le difese si sono abbassate ed è iniziato il dialogo, la condivisione, la consapevolezza, la solidarietà , una sorta di complicità ma soprattutto l’affetto che piano piano è germogliato forse anche inaspettatamente, perchè eravamo tutte deluse, sfiduciate, amareggiate, ferite.

Tra di noi la parola Giudizio però non è mai esistita. Invece, insieme, abbiamo scoperto che nella Vita ci si può ancora stupire, anzi non bisognerebbe mai smettere di stupirsi e di sognare.

Insieme abbiamo capito che in fondo al tunnel c’è la luce, che la forza sta in Noi e ne siamo diventate consapevoli.

Abbiamo versato lacrime e, chissà ne verseremo ancora, ma abbiamo anche sorriso. Tutto insieme….. e tutte insieme abbiamo capito che possiamo rimetterci in gioco reinventandosi una Vita, la Nostra Vita. Strada facendo, abbiamo creduto e investito nel Gruppo e abbiamo avuto ragione.

Grazie Paola

Partecipare ad un gruppo così strutturato rappresenta un punto di arrivo e non di partenza, né semplice né scontato, di un processo orientato alla valorizzazione di sè e alla emancipazione dal ruolo di vittima.

Il genere di problema di cui stiamo parlando, la violenza sulle donne, è immerso in una sorta di composto che ha funzionato come conservante per secoli e i cui ingredienti sono una miscela di silenzio, tabù, pregiudizi legati agli stereotipi di genere, aspettative sociali e familiari, ma anche una forte dose di paura, vergogna, trauma, confusione, immagine ideale di famiglia, immagine impoverita di se stesse.

Poter parlar di sè a qualcun altro, descrivere quello che si sente, vederlo, identificarlo, localizzarlo, non è per nulla facile e scontato e a volte sono necessari anni di lavoro per riuscire a condurre quel senso d’insoddisfazione e di svalorizzazione a qualcosa di concreto, per riuscire a dire: “sono stata una donna che ha subito violenza”.

Linda scrive:

A volte nella vita si tende a pensare di avere problemi così tanto personali da poterli definire unici e si rischia quindi di non condividere nulla per paura di non essere capiti o peggio giudicati… o almeno io l’ho sempre pensata così.

Preferivo piuttosto tenermi tutto dentro a costo di sentirmi sola. E sentirsi sola è come vedere tutto buio.

Ma qualcosa dopo il percorso con Paola è cambiato. Inaspettatamente, ho accettato di partecipare ad un gruppo di incontro con temi molto forti e personali e con piacevole sorpresa ho scoperto che, in fondo in fondo, siamo tutte uguali.

Siamo donne che hanno affrontato e che continuano ad affrontare le difficoltà della vita in un mondo che da sempre va loro contro, siamo donne ferite da chi le doveva amare e che hanno amato incondizionatamente troppo, nonostante tutto.

Siamo donne che sono le prime nemiche di loro stesse, che si giudicano troppo severamente, chissà poi perché. Donne che non volevano e non riuscivano a vedere la realtà ma preferivano rimanere, come me, in quel buio che non ti fa vedere quanto male ti viene fatto, un male talmente grande che andava raccontato.

E così, incontro dopo incontro, l’appuntamento diventa la tappa fissa a cui non si deve mancare.. nonostante la stanchezza, nonostante il lavoro, nonostante tutto, ci si ritrova li, sempre pronte ad accogliere come una rete le paure, i racconti, le difficoltà… per poi trovarsi alla fine a ridere e scherzare per quello che prima ci aveva fatto piangere o soffrire.

Perché in questo percorso siamo cresciute tanto, perché dobbiamo imparare a credere di più in noi ed a volerci un po’ più di bene, perché come dice il nostro motto dobbiamo diventare “SOGGETTO e non oggetto”.

E dopo ogni incontro non ero più sola con i miei problemi, quel buio di solitudine che tanto mi opprimeva, veniva rischiarato ogni volta con la vostra luce ed il vostro affetto… perché anche se siamo storie diverse siamo tutte incredibilmente vicine.

E tornando a casa sorridevo, pensando che forse non siamo mai veramente sole. E allora si che si comincia a stare veramente bene.

Il maltrattamento e il proprio ruolo di vittima non sono solo un fatto, ma anche e soprattutto una presa di coscienza. Senza di essa il maltrattamento non esiste.

La comprensione che si è all’interno di un legame maltrattante, poi, è una condizione necessaria ma non sufficiente per riuscire a contrastarlo. Per poterlo fare servono tempo, costanza, determinazione, una buona rete, fatica, la capacità di coltivare la rabbia e di riuscire a perdonarsi, la pazienza e la forza di comporre strategie di convivenza con chi è al contempo maltrattante e, talvolta, padre dei propri figli.

Partecipare ad un gruppo viola molti tabù, il primo è sicuramente il dire, il dichiarare. Parlare del maltrattamento in gruppo, non del maltrattamento in generale, ma del proprio, delle umiliazioni subite significa uscire allo scoperto, è la cosa più dirompente che possa accadere, perché è quello stratagemma che distrugge l’incantesimo, spezza il segreto e svela, lascia trasparire una parte di se stesse fragile, impaurita, disarmata ed essenziale, a volte anche poco socialmente accettabile, che pochi hanno conosciuto.

Stefy scrive:

Si è concluso un percorso a ritroso, dentro un passato perturbato. Nel gruppo mi sono specchiata attraverso la vita delle compagne di viaggio. Ci ha unite l’avere idealizzato un Principe bastardo e codardo. Questo modo di guardarci dentro e confrontarci ci ha fatto sentire più forti. Il gruppo è stato un sostegno. La condivisione fa sentire meno sole e meno fragili. Ti aiuta a non mollare e ti porge una mano quando hai delle naturali ricadute.

Abbiamo compreso che se c’è un carnefice c’è una vittima, complice di questo incontro di pugilato. Sul ring sei sola e il gruppo ti aiuta a non perdere l’equilibrio avvolgendoti con una sottile rete che ti protegge da te stessa e dall’avversario.

Un grazie a tutte e un particolare senso di gratitudine alla ns conduttrice che ha avuto questa iniziativa senza chiedere nulla. Grazie.

Quando un gruppo si compone succede una piccola magia: si fondono insieme, in un’unica entità, molte individualità e non si sa bene cosa ne possa uscire, è ogni volta un’alchimia nuova, con storie uniche e irripetibili, ma che hanno in comune qualcosa: l’essere donne. L’appartenenza al genere femminile rappresenta il collante del gruppo e le fondamenta sulle quali esso si struttura. Il gruppo, come diceva Kurt Lewin, “è più della somma delle parti”, per cui ha esso stesso una propria identità, una propria capacita produttiva e creativa, rappresenta il movimento, la “cinghia di trasmissione” tra l’individuale e il collettivo, tra il micro e il macro.

In questo gruppo ciascuna donna è arrivata prudente, senza mai aver vissuto prima un’esperienza simile. Per molte è stata una prima occasione di confronto con volti sconosciuti di altre donne, con in comune “solo” il genere e l’esperienza della violenza vissuta sulla propria pelle. Questa violenza, nel corso della terapia individuale era emersa, era stata narrata, aveva assunto dei contorni precisi, raccontabili, scambiabili, identificabili e aveva trovato le sue radici nella propria storia individuale, ma anche in quello sociale, la storia del destino femminile soggettivo e collettivo.

Il mio lavoro di psicoterapeuta mi offre il privilegio di assistere a tante nascite psichiche, a tante creazioni e, attraverso queste donne, ho visto far capolino germogli di fiducia reciproca, ma anche di capacità di abbandono e nuove relazioni. Ho sentito una nuova disponibilità di mettere in comune proprie risorse, competenze e conoscenze, sia emotive che relazionali, spesso sottovalutate e la capacità di affermare se stesse e il proprio punto di vista, senza vergogna o paura e di accettare critiche e osservazioni altrui.

Si è attivata una “pratica di cura tra donne”, che ha creato la presa di coscienza che il fenomeno della violenza non rappresenta un problema proprio, da non raccontare a nessuno, nato all’interno delle proprie pareti domestiche, ma una realtà molto più estesa, condivisibile e nominabile con altre donne.

Giovanna scrive:

La forza del gruppo

A volte nella vita di una donna accadono dei fatti che la portano ad isolarsi, ad aver paura del giudizio delle persone e a tener dentro tutto il dolore e la sofferenza, a nascondere ciò che di sbagliato  c’è in lei. 
Mentre all’esterno mostra al mondo una facciata dove tutto è perfetto e va tutto bene, dentro l’amore malato verso un uomo la corrode e la distrugge, giorno dopo giorno come una goccia d’acqua che scava nella roccia. Questo la porta a soffocare se stessa, a perdere la sua identità, lasciando  ferite che forse solo il tempo potrà curare.

Anche io avevo nascosto tutto al mondo. Ho cominciato il mio percorso di rinascita e di ricostruzione dalle rovine della mia vita incontrando un gruppo di donne speciali, ognuna con una storia e un percorso diverso, ognuna con la sua sofferenza.

Mi ricordo ancora la prima serata. Era un misto di agitazione e timore. Non sapevo se ce l’avrei fatta a parlare di me, a raccontare la mia storia e  penso che così fosse anche per le altre. Allo stesso tempo, però, dentro avvertivo qualcosa di nuovo, un’energia positiva e ho scoperto che condividere  con altre donne le stesse paure, gli stessi dolori, ti unisce. 
Questa esperienza mi ha portata ad identificarmi in ognuna di loro, ho visto un pezzetto di me dentro una parte delle loro storie, ho scoperto che la solidarietà che tra donne diventa una potenza infinita, quel dolore si trasforma in forza e voglia di farcela, in sorrisi.  

Si, mi restano dentro proprio i loro sorrisi, la loro comprensione, il rispetto, il coraggio di riprendere in mano la vita e di desiderare il meglio, di ricominciare amando per prima cosa se stesse, rispettandosi come donne.

Mi avete insegnato tante cose, voi donne del gruppo e la dottoressa Paola, e non  posso  fare altro che ringraziarvi per il vostro sostegno. Nonostante le difficoltà della vita siete, siamo, delle  donne eccezionali, non dobbiamo mai dimenticarlo. Questa è la forza del gruppo,  non si è mai  da sole e isolate, per quanto grandi e difficili siano i problemi in una relazione, l’amicizia di altre può dare  il sostegno e  l’aiuto necessario.

Un gruppo di donne può combattere gli  stereotipi e curare l’anima di una donna ferita.


Grazie a tutte per questo percorso insieme

Ho visto le storie che si specchiavano l’una nell’altra, favorendo la reciproca identificazione: ciascuna donna è portatrice della propria identità, storia e diversità, ma i risvolti emotivi di ciascuna possono risuonare nelle altre, suscitando la reciproca empatia rispetto alle identità di femminile messe in comune: compagna, moglie, madre, figlia, sorella, lavoratrice, maltrattata, separata, casalinga, single….

G. scrive:

..donne come me, donne in carne ed ossa…occhi che mi guardano.

Annuiscono…

Io che parlo, loro ascoltano!

Poi tocca a loro dire, raccontare…ed io per la prima volta non mi sento “sola” in questa battaglia.

Sapere che anche altre donne sentono il mio sentire profondo, colmo di dolore…ed avere la conferma che anche loro sono passate da quel “guado”…la violenza, mi apre un mondo.

Stavolta non sono pagine di libri e libri letti per trovare conferma di quella verità vissuta, ma ai miei stessi occhi difficile da credere!

Stavolta le loro dirette storie sono li a far luce su di me! Una condivisione sperimentata con tanta compassione verso di me…perche’ loro sono me !

L’esperienza vissuta ha sostenuto il proprio senso di credibilità, costruito intorno al poter raccontare senza essere derise o giudicate, attraverso il consiglio, il sostegno e aiuto delle altre donne, che ha strutturato una nuova fiducia e una nuova reciprocità, elementi di cui spesso le donne maltrattate sono state depredate.

…eppoi ci sono stati dei regali:

il primo questo motto:

Sono soggetto, non oggetto (M.)

il secondo questa poesia di Mariangela Gualtieri (G:):

Sii dolce con me. Sii gentile.
È breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.

Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso piú dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
della fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci –
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore.

il terzo questo portachiavi che possediamo solo noi (L):

portachiavi

Grazie di cuore a tutte

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