BY: Paola Danieli
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Nella mia pratica terapeutica quotidiana con le donne mi capita spesso di parlare del femminismo come di un movimento fondamentale e complesso che, tra gli altri, ha avuto il merito di fondare un profondo cambiamento di ri-defnizione del pensiero psicologico.
Negli ultimi anni numerose psicoanaliste hanno manifestato il loro interesse per il femminismo, si sono addirittura formate in esso, in parallelo alla loro formazione clinica o psicanalitica.
Grazie al loro contributo gli ambienti delle scienze umane hanno cominciato a manifestare un maggiore interesse per le teorie femministe e per il dibattito sulle differenze di genere e i risultati del loro lavoro cominciano ad avere un peso anche nella pratica clinica.
Il movimento femminista, d’altra parte, ha criticato largamente i tentativi degli psicanalisti classici di fornire spiegazioni sulla psicologia femminile, perchè partivano da concetti come l’invidia del pene, creando delle rappresentazioni attraverso le quali spiegare tutto, dal desiderio di sposarsi e avere un figlio, a quello di competere nei campi tradizionalmente occupati dagli uomini.
Alcuni psicanalisti, poi, hanno addirittura insistito sul fatto che il movimento di liberazione delle donne fosse, esso stesso, una manifestazione dell’invidia del pene e che l’insoddisfazione femminile fosse un problema psichiatrico.
Illustri esponenti della psicanalisi si sono dichiarati d’accordo che la vera natura delle donne fosse nel trovare appagamento nel ruolo tradizionale di moglie e madre. Pur non condividendo le posizioni di Freud, anche lo stesso Jung affermava che quando
“le donne intraprendono un’attività maschile, studiano e lavorano al modo degli uomini,(…) fanno (…) cose che, quanto meno, non rispondono del tutto alla loro natura femminile, quando non la danneggiano addirittura”[1]
Secondo Freud, la donna che non è felice della sua condizione ha rifiutato di accettare adattivamente la sua inferiorità sessuale e conserva ancora
“la speranza che nonostante tutto un giorno o l’altro le si sviluppi un pene”[2]
Queste affermazioni, qualunque cosa intendesse Freud con questa metafora, non hanno certo contribuito ad alimentare, agli occhi delle femministe, la credibilità delle affermazioni psicanalitiche e hanno, spesso, portato alla condanna totale e radicale del pensiero psicanalitico.
Il pensiero femminista e quello psicanalitico compaiono sulla scena mondiale quasi contemporaneamente e, in molti casi, si creano occasioni di dibattito.
Trovo interessante tracciare un breve excursus storico del femminismo per comprendere come il pensiero della moderna psicologia rappresenti l’esito del complesso intrecciarsi dei due pensieri.
IL PRIMO FEMMINISMO
Tracciare una breve storia del pensiero femminista è interessante per comprendere perché prima si è parlato al plurale di femminismi e perché, anche all’interno del pensiero femminista, è possibile incontrare interessi e azioni che vanno in direzioni molto diverse. Le donne che hanno militato nel movimento si sono mosse verso obiettivi diversi, ma sono state tutte accomunate dal desiderio di emancipazione della situazione femminile. Il loro pensiero risulta, tuttora, molto importante per comprendere la pratica, anche clinica, che si realizza con le donne. Per questo tracceremo[3], di alcune, una brevissima descrizione biografica.
Con la rivoluzione industriale che si è verificata nell’800 le donne hanno iniziato a lavorare nelle fabbriche e negli uffici, cominciando a partecipare a quel ruolo sociale che prima era riservato agli uomini. Esse, però, non godevano ancora del diritto di voto e non potevano influire in alcun modo sulle decisioni che riguardavano la collettività e che quindi le riguardavano direttamente. Erano private del più elementare strumento che la democrazia fornisce al cittadino per esprimere la propria opinione. Per questo, la prima grande battaglia condotta dalle donne per uscire dalla loro condizione di inferiorità, è stata quella del voto, condotta sia Europa, che negli Stati Uniti, dove la lotta per i diritti delle donne venne portata avanti contemporaneamente e in collaborazione con la lotta per i diritti dei neri e dell’abolizione della schiavitù.
Contemporaneamente alle prime battaglie per il diritto di voto nel 1848 Karl Marx lanciava il “Manifesto del partito comunista”, destinato a dare al proletariato una nuova coscienza dei suoi diritti e a influenzare tanta parte della storia.
Si costituiscono, pertanto, i primi gruppi di donne e le prime riviste rivolte al pubblico femminile, per diffondere il pensiero legato al diritto di voto.
Il periodo che va dal 1848 al 1918 vede la nascita e lo sviluppo del movimento femminista nei paesi occidentali avanzati (soprattutto Francia, Inghilterra, Stati Uniti), diviso nelle due correnti liberale[4] e socialista[5].
La prima critica, cosiddetta femminista, è da attribuire a Virginia Woof[6] e il suo principale contributo è dato dalla affermazione che l’identità sessuale dell’individuo è un costrutto sociale che può essere trasformato e cambiato.
E’ nel 1920 che la costituzione americana afferma il diritto di voto alle donne, però gli Stati Uniti non furono i primi a concedere il suffragio femminile. Nel 1893 lo aveva ottenuto la Nuova Zelanda, nel 1895 l’Australia del Sud e nel 1902 il Commonwealth australiano; poi nel 1906 era stata la volta della Finlandia e subito dopo della Norvegia, quindi della Danimarca e nel 1919 della Svezia.
In Inghilterra il movimento delle suffragette lottò strenuamente e nel 1917, in piena guerra, viene varata la legge che concede il diritto di voto alle donne. Le francesi e le italiane ottengono in diritto di voto nel 1945, dopo decenni di lotte.
Queste prime vittorie del movimento femminista segnarono profondamente la posizione della donna, che riuscì a guadagnare, oltre al diritto di voto il riconoscimento di altri diritti fondamentali, legati all’istruzione e in alcuni casi anche al riconoscimento di pari salario rispetto all’uomo. Di fatto, ormai, le donne sono uscite dalle mura domestiche, costituiscono forza lavoro, contribuendo a pieno titolo all’andamento economico delle nazioni.
IL SECONDO FEMMINISMO
Un contributo fondamentale per il passaggio dal primo al secondo femminismo si ha attraverso la francese Simone De Beauvoir [7]. Essa sostiene l’asimmetria di base tra i termini “maschile” e “femminile”. La donna è inevitabilmente confinata ad una relazione di doppio con l’uomo: lui è l’Uno, lei è l’Altro. Inoltre, l’assunzione della donna come “Altro” è tanto forte da essere persino interiorizzata dalle stesse donne: non si nasce, ma si diventa, donna; è la civilizzazione intera che produce questa creatura.
Il secondo femminismo rappresenta, pertanto, l’ondata dei movimenti di liberazione della metà e della fine degli anni ’60, caratterizzandosi per un’attenzione maggiore verso fattori di tipo sessuale, come la differenza biologica tra uomo e donna.
Per molto tempo, infatti, la donna è stata considerata inferiore all’uomo proprio partendo dalle sue caratteristiche fisiche e dal suo ruolo biologico, basti pensare al detto latino Tota mulier in utero[8], cioè: “La donna non è altro che un utero”.
Il femminismo riprende le argomentazioni maschiliste per ribaltarne le conseguenze, e celebrare l’importanza e, nei casi più estremi, la superiorità della donna.
Il fatto che il suo corpo sia predisposto alla procreazione non è più visto come un difetto, ma come una superiorità rispetto al corpo sterile dell’uomo. Si accende il dibattito su tutto l’apparato biologico tipicamente femminile, per cui si parla di ovulazione, mestruazioni, gravidanza, che vengono assunti come la ricchezza della femminilità, che permette alla donna di vivere esperienze del tutto particolari.
IL FEMMINISMO CONTEMPORANEO NEGLI STATI UNITI
Negli Stati Uniti questa seconda ondata di femminismo delinea immediatamente tre tendenze: quella marxista, più politicizzata, che parla di lotta di classe e di sfruttamento e che considera le donne una “classe di sfruttate”; la tendenza psicanalitica, che si rifà a Reich[9] e descrive soprattutto all’oppressione sessuale a cui la donna è sottoposta nella società maschile e patriarcale; la terza, di gran lunga più diffusa, che parte dall’analisi di Simone de Beauvoir e altre militanti, indica obiettivi concreti e immediati attraverso i quali deve passare la liberazione della donna. I temi di quest’ultimo filone sono: la contraccezione, l’intercambio dei ruoli maschili e femminili, la creazione di strutture sociali che possano rispondere alle esigenze delle famiglie.
In genere le prime militanti dei movimenti del secondo femminismo americano provengono dai movimenti di protesta per i diritti civili e la pace.
Tra i nomi più noti del femminismo radicale contemporaneo troviamo quello di Kate Millett[10], la cui tesi è che l’indottrinamento ideologico da un lato, e l’ineguaglianza economica dall’altra, hanno portato le donne all’oppressione. Essa distingue tra “sesso” e “genere”: mentre il primo è determinato biologicamente, il secondo è un concetto psicologico che si riferisce ad una identità sessuale acquisita culturalmente. Questa distinzione deve essere vista in polemica con l’atteggiamento diffuso per cui donne e uomini sono definiti in contrasto l’uno e l’altro, secondo stereotipi considerati “naturali” legati, per esempio, alla passività della donna e all’attività dell’uomo.
Betty Friedan[11] è un altro nome importante del femminismo contemporaneo, che si è impegnata in un’opera di penetrazione a tutti i livelli della società americana, con l’obiettivo di arrivare ad una più equa distribuzione dei posti di potere tra uomini e donne.
IL FEMMINISMO CONTEMPORANEO IN FRANCIA
Il nuovo femminismo in Francia prese l’avvio sull’onda della rivolta studentesca, nel 1968.
All’inizio si fece soprattutto “dell’autocoscienza”, parlando delle proprie esperienze e discutendo i problemi della sessualità; poi, un’ala del movimento si dedicò a delle azioni spettacolari, capaci cioè di richiamare l’attenzione del pubblico e di suscitare l’interesse della stampa.
Le tre esponenti più famoso a livello internazionale degli anni Settanta sono Luce Irigaray[12], Hélène Cixous[13], e Julia Kristeva[14], tutte provenienti dal gruppo “rivoluzionario” Psyc-et-Po, Psychanalise et Politique, tuttora attivo. La caratteristica fondamentale di questa corrente del femminismo francese è l’attenzione che mostra ai problemi del linguaggio, che diventerà una corrente importante per lo sviluppo della critica letteraria femminista . E’ fondamentale per loro l’influenza di Jacques Lacan[15], i cui scritti vengono pubblicati per la prima volta, dopo molti decenni di insegnamento, nel 1966, e di cui sia Irigaray che Kristeva sono allieve.
Il contributo teorico più importante di questo femminismo francese consiste nella compiuta elaborazione teorica di un concetto che abbiamo già visto più volte affacciarsi nello sviluppo del pensiero femminista, cioè l’idea della differenza sessuale. L’alterità della donna non viene più vista come luogo di mistificazione e discriminazione, ma come luogo dell’autocoscienza e della possibilità di definizione di una specificità femminile.
IL FEMMINISMO CONEMPORANEO IN ITALIA
Il primo vagito del movimento femminista italiano fu l’apparizione di un ciclostilato con una proposta di piattaforma politica, elaborata nel ‘69 dai collettivi femminili del Movimento studentesco all’Università di Roma.
Pur con un linguaggio poco accessibile alla maggior parte delle donne, viene analizzata la condizione di supersfruttamento femminile, e si accusano anche gli uomini di sinistra di favorire, ignorandola, questa situazione.
Dall’Università di Trento, e in particolare dalla Facoltà di sociologia, sono usciti vari gruppi femministi, di cui i più noti sono quelli del “Cerchio spezzato” e di “Lotta femminista”.
Lo stesso gruppo di “Lotta femminista” prolifica in altre città, come Milano, Padova, Ferrara, Venezia, Modena, Reggio Emilia, Firenze, Napoli, Gela.
Intorno al 1970, soprattutto a Roma e a Milano, nascono organizzazioni femministe, basate sui gruppi di autocoscienza, che saranno impegnate per un decennio nelle lotte per i diritti sociali. Le donne fondano loro librerie, case editrici, archivi e centri di documentazione, riviste. L’elaborazione del pensiero femminista italiano si svolge soprattutto intorno alla “Libreria delle Donne” di Milano e al gruppo di pensatrici di Verona “Diotìma”[16].
L’INTRECCIARSI DEL FEMMINISMO E DELLA PSICANALISI
Le prime neofemministe, come abbiamo visto, se da un lato hanno guardato con molto sospetto alla psicoanalisi, vista come espressione di un punto di vista patriarcale, dall’altro effettuano una ricognizione dell’identità femminile in contrapposizione agli stereotipi ideologici consegnati dalla tradizione storica, nella quale sono leggibili, più o meno esplicitamente, gli scenari di replica della subordinazione della donna all’uomo e la sua conseguente esclusione dal mondo delle decisioni storiche. All’esperienza collettiva corrisponde quella più intima e individuale di una presa di posizione critica della donna a ciò che assume la fisionomia di un destino sessuale. Da questo nasce l’esigenza di raffrontare atteggiamenti e ruoli che si presumono istintivi e connaturati alla femminilità, portando ad esplorare il repertorio di categorie su cui si innesta la ripartizione delle figure sociali e psichiche effettuate sulla base della sessualità. Le reazioni femministe hanno contribuito in modo rilevante a rivedere gli studi psicologici e psicanalitici mettendo a nudo l’incidenza del sesso nella vita degli individui, portando alla conclusione che:
“Se niente è più sessuale della psiche, d’altro canto, niente è più compenetrato di ideologia come il mondo della sessualità e la sua regolamentazione.”[17]
Le prove biologiche e psicologiche dell’inferiorità della donna, con conseguente legittimazione della sua subordinazione al maschio, su cui era cresciuta la formulazione psicanalitica di femminilità di Freud, sono state ridiscusse da Jung, che con il concetto di Animus e Anima[18] mette in discussione la contrapposizione dei due sessi, l’uno interamente maschile e l’altro interamente femminile. Contributi molto incisivi sono stati offerti anche da Reich[19] e da Laing[20].
Verso la metà degli anni Settanta Juliet Mitchell[21] sostiene che la tradizione freudiana, soprattutto nello sviluppo datole da Jacques Lacan, forniva un’interpretazione del potere paterno nell’inconscio femminile, di cui il femminismo aveva bisogno se voleva confrontarsi con successo con l’ordine culturale del patriarcato. Nel libro vengono illustrati i molti malintesi e fraintendimenti della teoria freudiana da parte delle prime femministe a cominciare da Simone de Beauvoir fino alle contemporanee Kate Millett e Betty Friedan.
Mitchell è stata tra le prime a ribadire con fermezza che fare i conti con la psicoanalisi è importante per il femminismo: patriarcato e capitalismo sono due forze che interagiscono tra loro; se il socialismo può ribaltare il capitalismo, solo la psicoanalisi può sovvertire il patriarcato.
Essa ha riabilitato l’opera freudiana, affermando che le sue tesi non sono nate come sostegno alla società patriarcale, ma come un’analisi della stessa. Secondo lei, Freud ha descritto la rappresentazione mentale di una realtà sociale, non la società in sé.
Questa difesa delle teorie freudiane è la base sulla quale si è sviluppato il femminismo psicanalitico contemporaneo.
Successivamente Chodorow[22], rifacendosi alle teorie della scuola psicoanalitiche delle relazioni oggettuali, sosteneva che il senso di sé femminile è riprodotto da una struttura genitoriale in cui la madre è quella a cui spetta principalmente il compito della cura dei figli, e che figli e figlie si sviluppano diversamente a seconda che questo compito di cura parentale spetti primariamente al genitore dello stesso sesso o al genitore di sesso diverso. Le figlie giungono a definirsi in quanto connesse o in relazione con gli altri. I figli maschi, invece, finiscono per definirsi come separati dagli altri, o meno correlati. Un’implicazione delle affermazioni di Chodorow è che il compito di genitore dovrebbe essere equamente ripartito fra padre e madre, in modo che i figli di entrambi i sessi possano essere seguiti, nel loro sviluppo, sia da un individuo dello stesso sesso sia da un individuo di sesso diverso.
La psicologa Carol Gilligan[23] afferma che per la donna l’acquisizione della capacità di giudizio è strettamente collegata alla specificità della sua identità di genere e si fissa nella relazione con gli altri, dando luogo ad un’ etica della responsabilità collettiva. L’uomo, invece, attraverso un processo di individuazione e separazione, giunge ad elaborare una morale fondata sull’idea di consenso tra uguali, secondo l’etica delle libertà individuali su cui è basata la società dei diritti. Come Chodorow, Gilligan approva la tendenza all’affiliazione che sarebbe tipica soprattutto delle donne, e la loro attitudine ad interpretare le proprie responsabilità morali in funzione dei propri rapporti con gli altri. È solo il pregiudizio maschile che considera di maggior valore l’autonomia e l’indipendenza personale rispetto all’interesse per gli altri e all’attuazione dei rapporti. La voce delle donne esprime l’etica della cura, dei rapporti interpersonali; la voce dell’uomo esprime l’etica del diritto e della giustizia formale. Questa tesi di Gilligan incontrerà approvazione da parte di molte studiose, ma anche critiche, attirandosi l’accusa di essenzialismo, cioè l’idea di una natura femminile essenziale, originaria, preesistente al sociale, non modificata da differenze di classe e di razza.
Ho scritto questo articolo per citare il lavoro instancabile, caparbio, meticoloso, ostinato e liberante di molte donne. Grazie a loro….
[1] JUNG Carl Gustav, Civiltà in transizione. Il periodo fra le due guerre, Opere vol. 10, tomo I, Torino, Boringhieri, 35.
[2] FREUD Sigmund, Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra sessi, Opere 1924-1929, vol. 10, Torino, Boringhieri, 1978, 211-212.
[3] Gli aspetti storiografici e biografici riportati, sono stati sintetizzati liberamente dai siti storici e documentari riportati assieme alla bibliografia e da:
PARCA Gabriella, L’avventurosa storia del femminismo, scaricabile dal sito www.cpdonna.it, Milano, 1976.
[4] Una figura importante del femminismo liberale è Harriett Taylor (L’emancipazione delle donne, 1851), con il marito John Stuart Mill (L’asservimento delle donne, 1869). Mill sostiene la necessità di una parità, non solo giuridica, ma anche pratica, legata al pari salario e pari lavoro per le donne, e accesso a tutte le professioni, il diritto di eleggere e di essere elette. Negli Stati Uniti si sviluppa il movimento liberale delle “suffragette” (dalla loro richiesta fondamentale, il diritto al suffragio)
[5] La corrente socialista si ispira all’opera di Engels L’origine della famiglia (1884).
[6] Virginia Woolf, scrittrice, (1882-1941), è la prima leader in cui le femministe si sono riconosciute. Come molte femministe della “prima generazione”, la Woolf ha concentrato la sua attenzione sugli svantaggi materiali delle donne rispetto ai loro compagni maschi. Riguardo al problema della letteratura, Woolf mostra come la maggior parte delle donne sono state da sempre ostacolate nella loro ambizioni letterarie da aspetti insieme sociali e politici, e a questo proposito osserva come lei stessa abbia avuto un’educazione lacunare, a differenza dei fratelli. Rifiutando la propria “coscienza femminile” adotta un’etica sessuale legata all’androginìa.
[7] Simone de Beauvoir, scrittrice, filosofa (1908-1986) è conosciuta per il suo libro di maggiore influenza, Il secondo sesso (1949), attraverso il quale sposta l’attenzione dai problemi puramente materialistici ai problemi biologici e psicologici di discriminazione sessista. Il libro definisce con straordinaria nitidezza il problema centrale del femminismo moderno: quando una donna cerca di definirsi, comincia dicendo: «Sono una donna»; nessun uomo farebbe altrettanto.
[8] Detto comunemente usato dai latini secondo il quale la donna è definita interamente dal suo utero: mentre i maschi sono pienamente umani e incarnano la specie, l’universalità, le donne ne sono un aspetto specifico, una particolarità, una differenza.
[9] Wihelm Reich, austriaco (1897 – 1957), è stato un medico, psichiatra, psicoanalista, allievo di Sigmund Freud. Egli afferma che la nevrosi è il prodotto della repressione sessuale e del conseguente blocco dell’energia sessuale. La sua cura, pertanto, presuppone la rimozione di tale mortificazione ed una sana vita genitale, anche se le prescrizioni sociali impediscono questa pratica. Se a questo punto si considera che l’insieme delle nevrosi femminili è stato costruito a partire dalla natura sessuale della donna, si comprende la necessità di rivedere tutta la psicologia della donna a partire dall’opposizione sociale dell’esercizio della sessualità.
[10] Kate Millet (1934) è una scrittrice e un’attivista femminista statunitense. Nei suoi scritti maggiormente conosciuto, Politica del sesso (1970) e L’eunuco femmina (1970), essa afferma che i rapporti tra i sessi sono rapporti di potere e che il patriarcato è tuttora vigente ed è un sistema di oppressione contro le donne.
[11] Betty Friedan (1921-2006) è la fondatrice del movimento N.O.W., molto potente, che lotta con successo perché le donne possano accedere ai posti in cui si prendono le decisioni. Inoltre sono sorte banche con capitale e personale esclusivamente femminile, cliniche in cui le pazienti sono curate solo da dottoresse e infermiere, centri di assistenza legale o sanitaria gestiti da donne, riviste dirette e redatte soltanto da giornaliste.
[12] Luce Irigaray, psicanalista e filosofa belga (1940). Si è spostata in Francia negli anni ’60. Elabora la teoria della differenza e critica del “fallogocentrismo”. Nel libro Speculum. L’altra donna (1974), che le costò l’espulsione dall’Università di Vincennes, procede a una fondazione di una teoria della differenza sessuale attraverso una analisi critica di tipo decostruzionista prima della psicoanalisi (freudiana e lacaniana), e poi dell’intera tradizione filosofica occidentale, da Platone a Hegel. Lo Speculum del titolo fa riferimento allo specchio concavo con cui in ginecologia si guarda all’interno del corpo femminile, e richiama una immagine di Virginia Woolf, che criticava l’idea della donne come “specchio” in cui l’uomo vede riflessa la propria immagine ingrandita. Una parola-chiave usata da Irigaray è “fallogocentrismo”, con cui viene chiamato il discorso dell’uomo, rivolto a se stesso, ed espressione del suo fallocentrismo. Irigaray pone come compito della critica femminista quello di decostruire il linguaggio di tutti i saperi umani, svelandone il fallocentrismo. Le donne devono costruire un ‘altro’ linguaggio, portatore di valori femminili. Irigaray intrattiene rapporti stretti con le femministe italiane. Tutti i libri di Irigaray sono tradotti in italiano, molti ad opera di Luisa Muraro.
[13] Hélène Cixous, saggista e poetessa (1938). L’idea di un linguaggio specificamente femminile è propria anche della Cixous che produce ella stessa esempi creativi di écriture féminine (‘scrittura femminile’), che dovrebbe mostrare la “differenza linguistica” delle donne rispetto agli uomini. I due principali saggi in cui Cixous espone le sue idee sono Sorties (1975) e Le rire de la Méduse (1975). La tesi della necessità di costruire un linguaggio sessuato al femminile non incontrerà consenso unanime tra le femministe (contraria è per esempio Julia Kristeva).
[14] Julia Kristeva, linguista, critica e teorica della letteratura, psicoanalista, romanziera, (1941). E’ nata in Bulgaria e si è trasferita a Parigi nel 1966, dove si lega al gruppo di intellettuali di estrema sinistra raccolto intorno alla rivista Tel Quel, animato dal suo futuro marito Philippe Sollers. È famosa nella storia delle teorie letterarie del Novecento anche per avere coniato il termine “intertestualità”, con cui intendeva il modo in cui tutti i “testi”, intesi come sistemi di significazione, sono in interrelazione gli uni con gli altri. La sua teorizzazione riguardo al soggetto femminile muove dalla distinzione lacaniana tra lo stadio materno dei segni e delle immagini, e quello paterno dei simboli e del linguaggio. Kristeva intende rivalutare e privilegiare quello che chiama l’”ordine semiotico” della madre, che sarebbe proprio della fase pre-edipica, contro l’”ordine simbolico” del padre, proprio della fase successiva, in cui al figlio e alla figlia vengono imposti il linguaggio e le parole del padre (la Legge del Padre), che indicano loro i “ruoli” cui sono destinati per la loro “natura”.
[15] Jacques Lacan, psicoanalista francese (1901-1981). Secondo Lacan, il bambino giunge ad un senso di identità entrando nell’ordine “simbolico” del linguaggio, che si costituisce sulla base di somiglianze e differenze. Soltanto accettando un sistema di esclusioni (se questo, allora non quello) imposte dalla Legge del Padre, il bambino può entrare nello spazio in cui cominciano le distinzioni sessuali, dove trovare la propria identità. Qui, il ruolo del padre è inteso in senso metaforico: egli detiene il potere della Legge non perché ha una funzione superiore di procreazione, ma semplicemente come un effetto del sistema linguistico. La madre riconosce il linguaggio del padre perché ha accesso al significante della funzione paterna, che regola il desiderio in maniera “civilizzata” (leggi: repressa). Soltanto accettando la necessità della differenza sessuale e del desiderio regolato un bambino si può considerare “socializzato”.
[16] Diotìma, (dal nome della donna che nel Simposio platonico ispira a Socrate la teoria dell’amore come filosofia), è una comunità filosofica di donne con sede a Verona. Tra i suoi membri si segnalano in particolare Luisa Muraro (1940) e Adriana Cavarero (1947).
Luisa Muraro, anche animatrice della Libreria delle Donne di Milano, è stato tra le prime a introdurre in Italia la filosofia francese della differenza. La sua opera è particolarmente vicina al pensiero di Luce Irigaray, la cui opera fa conoscere in Italia. Una proposta di Muraro che ha sollevato discussioni e critiche è la pratica dell’”affidamento”, in cui una donna “debole” si affida a una donna “forte” per essere avviata e sostenuta nel suo itinerario di liberazione e affermazione della differenza sessuale.
Adriana Cavarero (che si è distaccata da Diotìma nel 1991) si è occupata della differenza nel linguaggio e in seguito ha esplorato dal punto di vista delle differenza varie opere della tradizione filosofica e letteraria.
[17] GALIMBERTI Umberto, Dizionario di Psicologia, Garzanti Editore, Milano, 1999, 425.
[18] Per Animus e Anima Jung intende sia quella parte della psiche che ha attinenza con il sesso opposto e indica sia il tipo di rapporto che abbiamo con esso, sia il deposito dell’esperienza collettiva a riguardo. Il principio maschile inconscio presente nelle donne viene descritto come l’Animus e quello femminile inconscio presente negli uomini come Anima.
[19] Vedi nota n. 18
[20] Laing Ronnie, psichiatra scozzese (1927-1989). Partendo dalla premessa che la civiltà occidentale ha diviso gli individui in stereotipi antitetici come maschio/femmina, bianco/nero, matto/sano e ha incaricato la famiglia di perpetuarli, sostiene che senza il sovvertimento delle categorie psicologiche costruite sui modelli sociali, non sarà possibile descrivere una psicologia femminile che non sia il semplice calco degli stereotipi correnti.
[21] Juliet Mitchell, femminista socialista inglese (1940) . Nel suo libro Psicoanalisi e femminismo (1974), afferma il valore della posizione freudiana per un coerente confronto tra femminismo e patriarcato.
[22] Nancy Chodorow, psicanalista, sociologa americana (1944). Nel suo testo La funzione materna: Psicoanalisi e sociologia del ruolo materno (1978), analizza il ruolo parentale nell’educazione dei figli. Ha avuto notevole influenza su molte ricerche femministe contemporanee.
[23] Carol Gilligan (1936), è tra le più importanti autrici e studiose americane nel campo della psicologia, è titolare della prima cattedra di Gender Studies a Harvard, dove nel 2001 ha fondato il Center for Gender and Education. Di Carol Gilligan sono usciti in Italia Con Voce di donna (1987), best seller internazionale, L’incontro e la svolta (1995) e La nascita del piacere (2002).