Percorrere oggi il passaggio dall’infanzia alla vita adulta affrontando i contemporanei rischi e le attuali sfide, richiede risorse molto diverse da quelle messe in campo dalle generazioni precedenti. I “nuovi ragazzi” presentano caratteristiche contrapposte di spavalderia e fragilità, di delicatezza e sfrontatezza.

 

Si tratta di una generazione che è stata educata da genitori che non si sono proposti con uno stile educativo autoritario e rigido e che sono, anzi, spesso percepiti come alleati e compagni di strada. Questi genitori sono quasi sempre adulti impegnati in inevitabili maratone lavorative e faticose storie di coppia che, nei casi migliori, hanno tentato di salvaguardare i figli dalle loro eroiche fatiche e provato ad offrire il massimo per garantire loro un futuro. Stiamo parlando di ragazzi che hanno avuto un’infanzia privilegiata rispetto alle generazioni precedenti, che faticano ad allontanarsi da essa per tuffarsi in un domani che, soprattutto adulti e insegnanti, gli prospettano senza speranza e futuro.

 

Talvolta è proprio la scuola a rendersi scoraggiante e mortificante, proponendo il modello della crisi della società e delle relazioni come l’unico possibile e presentando prospettive di arrendevolezza a rinuncia rispetto ai propri sogni: meglio scegliere la strada più spendibile che quella desiderata. Così le speranze muoiono in prospettive grigie e di anonima sfiducia e timore del futuro e del prossimo. La scuola non garantisce più la possibilità di un domani migliore, la scalata verso una categoria sociale più alta, portando i ragazzi a chiedersi a che cosa possa servire e quale senso abbia.

 

Quello dei ragazzi e degli adolescenti, inoltre, è il gruppo sociale più colpito dall’illusione di conoscere e comunicare attraverso i nuovi mezzi, internet in testa. I social network e le chat rappresentano una grande illusione di amicizia e dialogicità che trascura completamente le strutture fisiche a disposizione dell’uomo per conoscere ed entrare in relazione con l’ambiente: i cinque sensi. La presunta conoscenza e la presunta amicizia si trasformano così in un luogo rassicurante di proiezioni soggettive che non offrono scambio e conflitto, ma stasi e incapacità di empatia.

 

Diventare grandi ha perso quel fascino legato a libertà e indipendenza che ha portato le generazioni precedenti a correre per emanciparsi dai genitori. La vita adulta è poco attrattiva e desiderabile, meglio quella terra di mezzo chiamata adolescenza. Permangono perciò, spesso, negli adolescenti strutture tipiche dell’infanzia, legate al bisogno di cura, di accudimento e di rassicurazione, con scarse spinte alla rivoluzione e alla ribellione. Difficile capire se è un nuovo orientamento generazionale o un bisogno delle vecchie guardie che detengono il potere politico e lavorativo e che, pur di tenerselo stretto, tarpano le ali ai giovani che hanno il bisogno fisiologico di spiccare il volo.

 

Forse è anche il marketing a richiedere che adolescenti si rimanga per sempre, con modalità di eterni bambini che consumano emotivamente e non razionalmente e che quindi “comprano tutto quello che vedono” e non quello che realmente è necessario per loro.

Ma allora dove si orienta tutta quella potenza, quell’energia e quella forza che “contiene”, anche biologicamente, un ragazzo o un adolescente? Dove imprime un giovane l’energia di cui è capace, dato che non gli viene data la possibilità di cambiare o spaccare il mondo? La rivolge, spesso, verso di sé, focalizzando la sua potenza sull’osservarsi con occhio critico e negativo, oppure sul mantenere la stasi, arredando la cameretta secondo le sue nuove necessità, con tutti i comfort, per non provare mai a spiccare il volo e per arrivare a farsi chiamare bamboccione da chi ha tutto l’interesse di congelare un popolo di pura energia in questo ruolo. In alcuni casi questa stessa energia è rivolta a difendersi dal prossimo e dai rischi che comporta, altre volte si trasforma in aggressività o in più o meno gravi crisi esistenziali e depressive, oppure in vite spericolate delle quali non si riesce più a trovare il bandolo.

 

Mi piace pensare che attraverso un percorso di psicoterapia è ancora possibile aiutare i ragazzi a utilizzare la propria energia in maniera creativa e non implosiva, per accompagnarli attraverso un percorso di riscoperta delle proprie risorse e verso un futuro possibile.