BY: Paola Danieli
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Intraprendere un percorso di psicoterapia non è semplice e neppure scontato, ma i dubbi nascono anche quando le terapie si concludono.
Spesso i pazienti si chiedono se, alla fine del percorso, saranno in grado di “funzionare” meglio, oppure se sapranno capire quando sarà il momento di chiudere, timorosi che quella relazione possa diventare una dipendenza.
E’ un momento carico di significato e ha un forte valore simbolico: quando si chiude il legame esclusivo tra terapeuta e paziente, entrambi sono posti di fronte a questioni complesse, come la separazione e la perdita, ma anche l’autonomia e il distacco; il paziente può trovarsi di fronte a una situazione d’incertezza e sentirsi di nuovo vulnerabile.
La chiusura può avvenire per svariati motivi, sia legati alla conclusione naturale del ciclo, che ha portato ad una nuova condizione di benessere, sia per resistenze del paziente a cambiare, per errori del terapeuta, oppure per ragioni esterne, come un trasloco, la cessazione dell’attività lavorativa del terapeuta, l’impossibilità a sostenere economicamente la terapia.
Questo tipo di relazione, come qualsiasi altra, non è soggetta a conclusioni standardizzate, ma mette in gioco una serie di variabili imprevedibili, legate alla coppia paziente-terapeuta.
Ma come capire se una terapia ha funzionato? I sintomi con i quali il paziente è arrivato sono ora tollerabili e gestibili, perché sono stati elaborati gli eventi e le esperienze che ne sono state la causa ed ora si possono affrontare le sfide che la vita propone, in maniera autonoma ed indipendente. Alla fine di una terapia il paziente dovrebbe sentirsi pronto a continuare il suo percorso di vita e di crescita personale.
Questo è il momento in cui si valuta il lavoro svolto e il livello di soddisfazione, gli ostacoli che sono intervenuti nel percorso e l’efficacia della metodologia utilizzata.
Con la fine di una terapia, però, si chiude anche una fase di vita e se ne apre un’altra, che passa attraverso la separazione. Non è raro che il paziente sia attraversato da emozioni di tristezza, perdita e smarrimento ed è compito del terapeuta offrire la propria disponibilità ad un eventuale sostegno futuro, ma anche incoraggiare a proseguire il proprio percorso di vita in autonomia.
È normale sperimentare una certa tristezza per la fine di un processo terapeutico, che può essere stato molto intenso.
Terminare una terapia significa l’inizio di un funzionamento indipendente, un nuovo equilibrio, un cambiamento strutturale interiore, tutti aspetti che danno conferma di un buon risultato terapeutico.
Riporto la testimonianza di Sara, una giovane donna di 35 anni, alla fine della sua terapia, intrapresa dopo un grave lutto:
“Mi sono avvicinata alla psicoterapia in un momento della mia esistenza in cui mi sentivo completamente smarrita. Come se all’improvviso ogni mio punto di riferimento fosse venuto a mancare e non fossi più in grado di capire chi fossi e dove stessi andando.
Il giorno in cui mi sono detta “ho bisogno di aiuto” è stato il più saggio della mia vita!
Ho intrapreso un viaggio all’interno di me stessa molto intenso, spesso doloroso, ma sempre e soprattutto di scoperta. Ho avuto la possibilità di conoscermi come non mi era mai accaduto prima, di mettermi costantemente in discussione e di migliorarmi.
È un’impresa che richiede coraggio e forza di volontà, perché non è affatto semplice scandagliare la propria anima e ribaltare aspetti di se stessi che si sono sempre dati per certi, scontati… ma, ad un certo punto, arriva la consapevolezza che finalmente qualcosa è andato al posto giusto e da quel momento la vita ricomincia.
Con le sue battaglie quotidiane, certo, ma soprattutto con la consapevolezza di avere gli strumenti per affrontarla!”