La dipendenza affettiva

 

Nelle relazioni, soprattutto quelle di amore si stabilisce una certa dose di dipendenza, ma fino ad un certo limite la dipendenza può essere definita sana e bilanciata dal mantenimento di un’adeguata capacità critica e da un sano desiderio di autonomia da parte di entrambi i partner.

Ci sono relazioni in cui la dipendenza è qualcosa di tremendamente nocivo, che logora l’identità della persona dipendente, resa particolarmente vulnerabile ed esposta a diventare vittima di partner che possono trascinarla in un rapporto tossico e logorante.

Le persone dipendenti, nelle relazioni di coppia, perdono quote sempre crescenti di potere personale, arrivando anche a rinunciare alla propria autonomia, indipendenza e libertà di scelta, arrivando, in casi estremi, a trovarsi in una vera e propria condizione di sfruttamento emotivo e fisico.

 

Negli ultimi decenni la dipendenza affettiva è stata paragonata alla dipendenza da sostanze, con la sola differenza che l’oggetto tossico non è la sostanza ma la relazione.

Generalmente le persone che vivono una relazione dipendente soffrono di una profonda incapacità di vivere serenamene la propria solitudine, probabilmente a causa di vissuti infantili accidentati.

Il dipendente è disposto ad accettare le condizioni più umilianti pur di conservare la relazione.

 

Si è malati di dipendenza affettiva quando ci si nega all’interno di un legame, continuando a giustificare il cattivo carattere e l’atteggiamento del partner e lasciando completamente inascoltati i propri bisogni, facendosi andar bene qualsiasi condizione.

Lo stato patologico consiste nel mettere a repentaglio la propria salute emotiva, minando alla base tutte le sicurezze e fondendo la propria identità con quella della relazione malata, che piano piano diventa la propria essenza, malgrado le ferite e le umiliazioni.

 

Quasi sempre la dipendenza affettiva è declinata al femminile: Le relazioni possono essere un luogo di realizzazione di sé, ma anche di totale passività e affidamento al partner, senza mai reagire ad umiliazioni e mortificazioni e senza mai far valere il proprio punto di vista.

La presa di coscienza e il disagio rispetto a questa condizione può avvenire dopo mesi, anni o decenni, o può non accadere mai. Ciò è causato anche alla difficoltà di dare un nome e circoscrivere quella condizione di malessere.

Queste circostanze, naturalmente, dipendono da una serie complessa di fattori: la personalità del soggetto, quella del partner, quella del contesto culturale e sociale, i traumi subiti, la scarsa autostima conseguente alla condizione di passività e l’andamento non uniforme e ciclico della relazione, che determina momenti in cui la situazione conflittuale degenera in maltrattamento, a momenti in cui il partner sembra dare rispetto o giura di cambiare e la democrazia sembra ristabilita.

 

La passività si percepisce anche nella consegna, talvolta totale, della propria vita nelle mani del compagno, che ha il potere di decidere cosa fare, che stile di vita tenere, che interessi avere, fino ad arrivare a controllare le persone da frequentare o non frequentare, quando e se uscire e cosa fare se si esce. Lui domina le scelte più importanti che finiscono con il definire ogni azione, strutturando nella compagna uno stato di paralisi e talvolta di paura di esprimere le proprie opinioni. Lei può arrivare a sentirsi sbagliata, inadeguata, non competente, non all’altezza, inadatta a quella e a mille altre condizioni: l’unica possibilità è adattarsi passivamente.

 

Un altro aspetto legato alla dipendenza e alla passività, che colpisce alcune relazioni asimmetriche, è come le donne, talvolta, si accaniscono nel proteggere il partner, nel giustificarlo, nel tirare in causa mille ragioni. Il minimo accudimento mancato nei confronti di lui diventa una fonte di inadeguatezza e di colpa, che porta al timore di perdere la relazione.

La contropartita di questa situazione è l’incapacità di proteggersi dagli abusi, utilizzando modalità elementari: parlarne con qualcuno, fuggire, chiedere aiuto e nei casi più estremi chiamare le forze dell’ordine, rivolgersi ad un punto di pronto soccorso, non rispondere al telefono in caso di stalking.

 

Ti prego, lasciami andare:

il pensiero dell’alba

è in me così alto

che non occorrono boschi

per poter camminare.

Ti prego, lasciami vivere

questo assurdo pensiero,

questa passione intensa

non fa che ardere odio

entro le madri oscure

che tu fai piangere, amore,

soltanto per errore.

 

ALDA MERINI

 

 

Come può aiutare la psicoterapia

 

La psicoterapia può aiutare a scoprire che la dipendenza affettiva non è il problema, ma il sintomo del problema, comparso tanti anni fa nella nostra storia. Trovare il bandolo di quella matassa, il minuto zero della storia di dipendenza significa iniziare a lavorare sui traumi che l’hanno generata.

 

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