23 Lug 2014

BY: Paola Danieli

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Comments: 2 commenti

Scrivo questo breve articolo pensando possano leggerlo sia le donne che subiscono violenza, sia coloro che osservano situazioni di violenza (vicini, amici, parenti).

La violenza di cui parlo è quella domestica, agita da un uomo (marito, compagno, fidanzato o un ex) su una donna.

FATTORI CHE TRATTENGONO LE DONNE DAL LIBERARSI DALLA VIOLENZA:

  • Vergogna: le donne hanno subito situazioni così umilianti che considerano una ulteriore umiliazione confessare la propria condizione ad altre persone che vivono in una presunta condizione di “Mulino bianco”. Spesso provano colpa per la loro condizione.
  • Ciclo della violenza: la situazione di violenza in famiglia non è mai uniforme ed alterna momenti di maltrattamenti fisici, economici, sessuali e psicologici a momenti di “luna di miele”. Questa situazione getta grande confusione sulla capacità delle donne di reagire;
  • Camminare sulle uova: qualsiasi evento può essere potenzialmente catastrofico e trasformarsi in una tragedia, dalla pasta scotta, ai figli che urlano, alla camicia mal stirata. Le donne conducono una vita centrata esclusivamente sul controllo della situazione;
  • Traumi: le situazioni traumatiche generano fisiologicamente confusione, offuscamento cognitivo e congelamento e molte donne maltrattate vivono in questa condizione che ritarda la loro emancipazione;
  • Timore rispetto i propri figli. La paura che condividono quasi tutte le donne maltrattate è quella di perdere i propri figli, soprattutto perché generalmente questo argomento è il cavallo di battaglia del maltrattante. Per fortuna le donne vengono tutelate dai servizi e dalla legge e la possibilità che i figli vengano allontanati, malgrado le scarse possibilità economiche della madre o il suo stato di prostrazione e confusione, sono assolutamente remote. I figli sono spesso vittime di violenza assistita, che genera problemi analoghi a quella subita direttamente. I bambini stanno bene lontano dalla violenza;
  • Paura di non farcela: anni di sottomissione e logorio psicologico minano alla base l’autostima, perciò le donne hanno perso la speranza di potersela cavare da sole;
  • Paura: le donne temono un gesto estremo se si allontanano e questo protrae per anni, o per sempre, la loro sofferenza;
  • Dipendenza economica: anni di maltrattamenti hanno condizionato la vita lavorativa, provocando, a volte, il licenziamento;
  • Solitudine: le donne maltrattate sono quasi sempre sole e la solitudine genera isolamento psicologico, paura di non farcela, paura di sbagliare;
  • Giustificare il loro compagno o marito: ha sofferto molto, ha avuto una vita infelice, una madre che non li ha amati, un padre assente e l’aspirazione delle donne è di liberarlo dalla sofferenza, dall’incantesimo del maleficio. Le donne sperano che il loro amore produca cambiamento sui loro compagni.

COSA FARE PER TUTELARSI E LIBERARSI DALLA VIOLENZA

  • Chiedere aiuto e sostegno e contrastare la solitudine è un ottimo punto di partenza. Spesso un punto di vista diverso dal proprio (amica, amico, parente, centro antiviolenza, psicologa) è molto utile per chiarirsi la situazione;
  • Cercare informazioni su internet riguardanti i Centri Antiviolenza e le associazioni di volontariato della propria zona (Telefono Rosa o altre), oppure ricorrere al numero verde nazionale antiviolenza 1522 (gratuito), per chiedere informazioni. I centri antiviolenza e le associazioni di volontariato offrono generalmente consulenza legale gratuita e sostegno psicologico, sempre gratuito.
  • Referto e denuncia: quando si subisce una situazione di maltrattamento fisico o psicologico è fondamentale farsi refertare al Pronto Soccorso più vicino, dichiarando la violenza subita, che verrà così scritta “nero su bianco”. Non solo le percosse, ma anche stati d’ansia e di confusione possono essere refertati. Entro 90 gg le donne possono decidere se sporgere o meno denuncia (180 gg. in caso di stalking e violenza sessuale). L’ospedale presso il quale ci si rivolge procederà d’ufficio alla denuncia della situazione solo per una prognosi superiore ai 20 giorni, quindi in casi piuttosto gravi.
  • Informarsi sui propri diritti: essere consapevoli dei propri diritti e doveri nei confronti del maltrattante e dei figli è fondamentale. Per questo è possibile rivolgersi ad un avvocato, oppure chiedere una consulenza gratuita agli avvocati generalmente disponibili presso i sopra citati Centri Antiviolenza o presso i Consultori Familiari. Le informazioni date alle donne sui propri diritti da parte dei compagni maltrattanti sono sempre distorte.
  • Case rifugio: in situazioni estreme e di pericolo esistono sul territorio nazionale “Case Rifugio” gestite dagli enti pubblici, dai centri antiviolenza e dalle associazioni di volontariato, che possono dare dimora e protezione alle donne anche accompagnate dai propri figli, oltre che un sostegno per la costruzione di un proprio progetto di vita

COSA FARE PER AIUTARE UNA DONNA VITTIMA DI VIOLENZA

  • Crederle e ascoltarla malgrado possa avere comportamenti o atteggiamenti poco comprensibili rompere l’isolamento è fondamentale;
  • Sostenerla per costruire una solida rete di aiuto;
  • Mantenere la riservatezza;
  • Non giustificare mai il comportamento violento, anzi condannarlo sempre;
  • Evitare di minimizzare l’episodio violento e di colpevolizzare la vittima;
  • Non giudicare le decisioni della ragazza-donna anche se non le condividiamo;
  • Dare informazioni sui centri antiviolenza: non si può risolvere da sole la situazione violenta.

NUMERI D’EMERGENZA:

113: numero di emergenza perché intervenga una volante della Polizia

112: numero di emergenza per attivare il Nucleo Radiomobile dei Carabinieri

Entrambi i numeri sono attivi 24 ore su 24

2 commenti

  • Niculina

    Come vorrei non dipendere da lui io non ho un lavoro se anche voglio andare come riesco ad andare avanti sono straniera non conosco nessuno con chi posso parlare sfortunata

    Agosto 10, 2016 | Reply

    • Dovunque si trovi, chiami il 1522. Le sapranno indicare il Centro Antiviolenza più vicino a lei e seguirla verso un percorso di autonomia e, se la sua situazione lo richiede, anche di ospitalità e protezione.

      Agosto 10, 2016 | Reply

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